ETTORE DICE

Nel manifesto si parla della chiamata alle armi delle classi dal 1916 al 1926

Erano i primi mesi del 1944. Io avevo diciotto anni. Alla Camera del Lavoro c’era un certo Romita, che mia mamma conosceva da quando aveva cominciato ad andare in risaia a Vercelli, partivano con la corriera tutte le mondine, e ci sono andato anch’io per salvarmi dalla Repubblica – gliel’ha detto Romita a mia mamma – ma poi è arrivato il bando: era il 1944. E il bando chiamava in guerra il primo semestre del 1926. E io sono nato a febbraio e sono dovuto partire.

Eravamo in dieci di Cerese e sette o otto di Borgoforte. Siamo andati a Mestre, alla caserma Edmondo Matter, per l’addestramento.

C’erano 104 Compagnie. Là comandavano la Compagnia Mantova due fratelli, uno dottore e uno professore d’ospedale, erano di Mantova, abitavano sul Bacchio.

Da Mestre, cento compagnie sono andate in Germania o in Jugoslavia a combattere contro i Titini – e quattro Compagnie sono rimaste in Italia, fra cui la “Mantova”.

Da Mestre siamo stati smistati fra l’Adige e il Po, a Rovigo, nella contraerea. Io che amavo tanto gli aeroplani, mi hanno comandato di buttarli giù.

Un giorno abbiamo ricevuto la comunicazione che avevano bombardato un treno a Legnago, pieno di soldati che venivano da Cassino. Noi siamo corsi fra gli spini e i rasi della Valle del Po, per soccorrerli.

Me, mi hanno mandato sui vagoni, a dar da bere ai feriti, con un canestrino d’acqua; c’era sangue dappertutto; c’era un ragazzo giovane che m’ha chiamato, era rimasto senza occhi. Io avevo 18 anni: non avevo mai visto una tragedia simile.

Mi ricordo i fratelli comandanti, che erano medici e avevano soccorso i feriti più che avevano potuto e avevano il grembiule insanguinato.

Ho fatto 14 mesi di militare.

Adesso io ti dico: che venga tutto, ma una guerra no. La guerra è troppo brutta. Io ero un ragazzo di diciotto anni e non avevo paura di niente. Ma in guerra ho avuto tanta paura.

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