

PONTORMO – L’ANNUNCIAZIONE
Percorrere il Ponte Vecchio, verso Pitti. Abbandonare la folla per rifugiarsi nella penombra e nel silenzio. E nella bellezza.
Se molto terrestre o ultraterrena, questo ciascuno lo sente da sé. L’esperienza dell’arte è sempre personale.
Io posso solo suggerire un luogo fiorentino dove ho trovato la felicità.
Ho appena passato l’Arno.
La chiesa è piccola, sulla sinistra. Nella calca che va verso palazzo Pitti e il giardino di Boboli, si rischia di perderla. Fermatevi!
Nella chiesa, a destra, prima cappella. Si chiama la Cappella Capponi. È affrescata interamente dal Pontormo che qui dispiega tutto il suo genio creativo, Gli anni: il 1526 e ’27. Pontormo aveva poco più di trent’anni. E creava già capolavori.
L’Annunciazione è come divisa in due da una finestra – che già c’era e che entra a far parte del dipinto – e da un reliquario – aggiunto in tempi successivi (e che non c’entra proprio niente). A sinistra c’è l’Arcangelo – una palla di tinte cangianti fra l’arancio e il rosa, sospesa da terra, gonfia di vento, che si volge verso la finestra, alla luce di Dio. Non ha ancora detto una parola, le ali sono spalancate, ma lei, lei lo ha sentito e si volta, ansiosa, spaventata.
Tu non sei più vicina a Dio
di noi; siamo lontani
tutti…
Questo le direbbe l’angelo, con le parole di Rainer Maria Rilke, se non guardasse prima verso il Dio della finestra.
Perché la scena è ambientata proprio qui, in questa chiesa, in questa cappella. Ci sono i peducci in pietra serena, così come i gradini dell’altare che Maria sta salendo. La pietra serena è la pietra grigia usata nelle architetture fiorentine. Dici: Firenze; pensi: pietra serena. La pietra serena sta a Firenze come il travertino a Roma e il marmo rosso a Verona.
Maria Vergine – dicevo – sta salendo i gradini verso un altare – dove è appoggiato un candelabro – e si sbilancia all’indietro. Anche la veste di lei ha colori caldi, ma il mantello è azzurro e glicine il velo sulla testa. A parte il fatto che i colori di Pontormo non sai mai quali siano, hanno effetti cangianti, cambiano con l’angolazione della luce …
Maria – dicevo – scosta il manto azzurro con la mano destra, mentre con la sinistra sta aggrappata all’altare. E spalanca gli occhi. Non s’è mai vista una Maria così, con quegli occhi neri, intensi, tra lo sbigottito e il combattivo, a girarsi di botto a chiedere “Che c’è?”. È una vera ragazza di Sanfrediano, d’Oltrarno, un po’ ritrosa, un po’ sfacciata, che non si accontenta di un messo celeste, ma vuole saperle, le cose.

Non sarà facile convincerla. L’angelo è quella sfera di colori e luci: un’apparizione che sembra messaggero di niente. Vivono entrambi un istante sospeso, una domanda senza risposta, un mistero irrisolto.
PONTORMO – LA DEPOSIZIONE

In realtà, il titolo dell’affresco dovrebbe essere il Trasporto di Cristo morto. Lo si dice Deposizione per comodità, per pigrizia, perché è più corto.
Ma non c’è nessuna croce, nessuna scala, nessun Nicodemo o Giuseppe d’Arimatea.
Il centro non è nemmeno Cristo a cui, stranamente, Maddalena volta le spalle, ma Maria – ancora lei, come nell’affresco vicino – con trent’anni in più, sopraffatta dal dolore, ma sempre lei.
Il centro di ogni cosa, terrena e ultraterrena.
Maria, vestita d’azzurro.
La cappella Capponi è dedicata alla Pietà, ma questa è una strana Pietà: avete presente Michelangelo, Carracci, Tiziano, tanto per dirne alcuni? La Madonna ha in grembo il figlio morto e lo abbraccia.



Qui no, anzi.
Il Cristo e la madre sono distanti, disgiunti, separati. L’uno in basso, trasportato da due angeli apteri (cioè, senza ali), lei più in alto, con tutti i personaggi che le si affollano attorno.
Il tutto in un non-spazio.
Perché quest’opera sovverte ogni regola. Tanto è rigoroso lo spazio dell’Annunciazione, con peducci, scalini, finestra, in dialogo con la scena; tanto ogni spazio è cancellato, qui.
I personaggi non siedono, non camminano, non occupano grandezze o altezze; non ci sono scalini né angoli né dislivelli. Il corpo del Cristo non pesa, e nemmeno i corpi degli altri.
Fluttuano in un non-luogo.
La Vergine tende la mano verso il figlio in un ultimo saluto. Maddalena le si fa incontro, prima che si accasci, volgendo le spalle a Gesù. È vestita di rosa, in mano ha un fazzoletto.
Una donna a sinistra tiene sollevata la testa di Gesù; un’altra, con la testa voltata, gli tiene una mano. In alto, altre due chiudono la scena.
A destra, quasi fuori-quadro, sbuca una testa d’uomo, forse un autoritratto del pittore. Sembra scappare dal dolore. Perché questo la scena è: un dolore assoluto, senza redenzione, un dolore universale senza spazio e fuori dal tempo. E tutte le misure sono scoordinate: ieri, oggi, domani, anni fa, dentro, fuori in alto, in basso, il dolore è sempre uguale, immenso, sproporzionato.
Il brano di Rilke si trova in un vecchio libro della Bianca dell’Einaudi, nella bella traduzione di Giaime Pintor: R. M. Rilke, Poesie, Einaudi
La fotografia dell’Annunciazione è di Marco Sorio; ho scaricato le altre da Google-Immagini