Figlio primogenito e unico maschio di Giovanni e Domenica Grazi, Battista Mignoli nasce a Salina il 7 novembre 1698, esattamente nove mesi dopo il matrimonio dei genitori.
SALINA di Viadana, Archivio Parrocchiale, battesimo di Battista Mignoli, 18 n0vembre 1628
Il parroco di Salina lo registra col cognome “Miglioli” – e questa è una costante: tutte le volte che un Mignoli si trasferisce a Salina, il cognome diventa Miglioli; la madre viene indicata come “Domenica de Monellis” (il soprannome dei Grazi di quel ramo). Gli sono padrini di battesimo Giovanni Paleari (o Pagliari) – della stessa parrocchia di Salina – e Isabella di Francesco Monelli, sorella della madre.
Ha solo 4 anni, il piccolo Battista, quando suo padre muore.
Egli resta nella casa avita con la madre, la sorellina, gli zii e i cugini.
Poi accade qualcosa: forse incomprensioni, forse insofferenze reciproche coi cognati e le cognate conviventi, forse pettegolezzi; fatto sta che Domenica Grazi ritorna a casa del padre, si fa restituire la dote e lascia i bambini agli zii Girolamo, Carlo, Maria e Domenico, e – per un certo periodo – anche alla sorella Francesca, moglie di Girolamo.
Tutto ciò avviene in un periodo che va dalla fine del 1702 – morte di Giovanni – al febbraio 1705, quando viene redatto il rogito relativo alla restituzione della dote. Probabile che la separazione sia avvenuta nel 1703 o 1704, quando Battista aveva 5-6 anni e la sorella Cattarina circa 3.
I rapporti fra madre e figli forse continuano nella stessa tenerezza, forse si allentano. Non abitano così distanti da non rendere possibili incontri giornalieri…
Che cosa succede nei successivi quarant’anni perché – come ho già scritto – Domenica, nel suo testamento, liquidi i figli lasciando loro solo la “legittima dei suoi averi … dovuti per ragione di natura”? Così; senza una parola d’affetto.
ANNI GRAMI
Battista bambino vive quindi con gli zii.
Sono anni grami. Infuriava la guerra di Successione Spagnola, scoppiata nel 1700. Ne ho già parlato: l’occupazione del viadanese da parte dei soldati imperiali, gli assalti alla fortezza di Guastalla. E furono battaglie per tutto il giugno del 1702, quando era tempo di raccolto. Del resto: quale raccolto, se il grano era già stato segato per farne biada per i cavalli?
Arriva la carestia; anche perché il Po ha inondato tutta la zona. Nessuno semina né vuole seminare a causa delle due armate che si fronteggiano: e non vi sono più “né fieni né paglia né strame”.
E così avanti per due, tre anni, con le armate acquartierate nel territorio, armate cui bisogna fornire cibo, legna, biade, alloggio e tutto quanto serve a un esercito – sia esso invasore o difensore.
E in più il Po; che non distingue tempi di guerra da tempi di pace: nel 1705 due tremende inondazioni aggravano una situazione già drammatica: una a luglio e una a novembre, quest’ultima fa rovinare argini, atterra case, annega uomini e bestie.
Hyacinthe Rigaud, Ferdinando Carlo Gonzaga Nevers, ultimo duca di Mantova.
Nonostante ciò, la guerra continua; così come l’occupazione del ducato. Fino a che il duca Ferdinando Carlo, accusato di tradimento e dichiarato decaduto, fugge a Venezia e, nel territorio della Serenissima, muore.
È il 1707: si conclude la dinastia gonzaghesca.
Il Mantovano passa sotto la Casa d’Austria.
I deputati di tutte le comunità e i parroci del territorio giurano fedeltà all’imperatore Giuseppe I d’Asburgo.
Nello stesso 1707, il conte Giovanni Battista Castelbarco, governatore del Ducato di Mantova, scrive in una relazione all’Imperatore della situazione del Ducato, teatro di guerra fra i due eserciti per tutto il tempo del conflitto; e delle due inondazioni del Po per cui si erano persi tutti i frutti per due anni; con gli abitanti costretti a indebitarsi per ricostruire gli argini – ancora inconclusi – e le campagne che continuano ad essere insicure. Il ducato, oltre ai soldati francesi, “ha dovuto soccombere al grave peso delle armi di V. M.” [i soldati imperiali] e, nonostante le terre dove erano acquartierati avessero pagato, “le contribuzioni per l’inverno, hanno devastato totalmente la campagna, sì rispetto alle erbe, come in molti luoghi del formento e misture; oltre l’aver obbligato li paesani a mantenerli di tutto quanto per le spese cibarie”.
Dopo che le intemperie avevano danneggiato tutti “li raccolti de minuti, in gran parte semato [scemato] quello del formento, dove era rimasto”, quando il territorio cominciava a respirare, ecco un nuovo acquartieramento imperiale ed estorsioni di truppe “hassiane e palatine” che hanno obbligato la popolazione a pagare “una doppia e mezza per porzione” o due doppie al mese, oltre a pretendere regalie per gli ufficiali e mantenimento per i soldati “nelle case de particolari”, dove rubavano e uccidevano gli animali e perpetravano altre violenze. Concludeva il Castelbarco: “In summa il paese è desolato”, gli abitanti fuggono e “il tutto è in confusione”.
L’anno dopo, il 23 marzo 1708, la comunità viadanese scrive una supplicaall’imperatore in cui essa dichiara di “ritrovarsi in uno stato miserabilissimo per cagione delle passate e delle correnti guerre”, per aver dovuto alloggiare e mantenere tante truppe. E continua drammaticamente: “Essendo restate tutte le famiglie spogliate non solo di denaro ma del necessario … non sapendo più come vivere, esponendo inoltre le tante inondazioni del Po patite”, tanto che non può che “pascersi d’erba”; chiede di non essere molestata almeno per un anno dai creditori. Non so se l’imperatore diede risposta concreta alla supplica, ma non credo.
L’inverno 1709 fu tra i più rigidi: si gelarono viti, alberi. Gelò anche il Po, tanto che lo si poteva attraversare a piedi, coi carri carichi di grano trainati dai buoi, per andare a macinare altrove, nel Parmense, visto che nel viadanese i mulini erano bloccati.
Sempre più gravose si fecero le tasse, mentre l’epizoozia uccideva il bestiame.
Poi la guerra finì. Era il 1713. I trattati di Utrecht e Rastadt assegnarono definitivamente il Mantovano alla Casa d’Austria.
LA GIOVINEZZA DI BATTISTA, LA DIVISIONE DEI BENI
Come aveva vissuto la famiglia Mignoli quel periodo? Non abbiamo documenti al riguardo: nessun rogito, nessuna registrazione. Nel 1702 era morto il padre di Battista, Giovanni, nella primavera del 1704 lo zio Girolamo, capofamiglia; forse erano morti anche dei bambini piccoli. La carestia, la denutrizione, la malnutrizione, la guerra, la violenza erano cause più che sufficienti.
Ma Battista e Cattarina, con gli zii Carlo, Domenico e Maria, sopravvivono. Forse gli adulti hanno dovuto vendere o impegnare qualcosa, per far fronte alle tasse e alla fame; ma resta loro la casa di Buzzoletto.
Ed è sull’argomento della casa che li ritroviamo all’inizio del 1713, quando il grosso della buriana è passato. Vivono tutti a Villa S. Pietro, ormai.
In quell’anno avviene la spartizionedei beni di Battista Mignoli senior e di Catarina Pagliari, nonni di Battista e Catarina. Pare che sia proprio il curatore di Battista e Catarina, Alessandro Giuseppe Zaffanella, a insistere per la divisione. Anche Angelo Maria Gattafoni, curatore di Pietro Francesco, orfano di Girolamo, è d’accordo.
L’eredità viene divisa in quattro parti, essendo quattro i figli maschi di Battista. Gli eredi sono:
Domenico Mignoli
suo fratello Carlo, entrambi figli di Battista;
i nipoti Battista e Catarina, orfani di Giovanni;
Pietro Francesco, orfano di Girolamo. Che non partecipa, però, alla divisione dei beni di Catarina Pagliari, poiché non le era nipote: sua nonna era stata Maria Prevedini.
A Battista e Catarina spetta una parte della casa di Buzzoletto (una camera, l’andito e la cantina), confinante dai tre lati con gli altri eredi; più la somma di circa 190 lire, per un totale di 1.253 lire.
IL MATRIMONIO
Battista vive gli anni successivi con lo zio Domenico e il cugino Pietro Francesco, ancora in comunione di beni.
Poi, nel 1722, prende moglie. La sposa è Donina Levati, figlia di Natale e Margarita Valentini, nata a Villa S. Pietro di Viadana l’8 maggio 1696: ha quindi due anni più di Battista. I suoi avi erano giunti a Viadana dal Parmense qualche decennio prima.
Le nozze sono celebrate nella parrocchiale di San Pietro (da poco riaperta, dopo un lungo periodo di chiusura per rifacimenti), l’8 ottobre 1722. Battista ha quasi 24 anni, Donina 26.
Matrimonio di Battista Mignoli e Donina Levati, 8 ottobre 1722 (Viadana, chiesa parrocchiale di San Pietro, archivio, matrimoni),
Una decina di giorni prima, il 30 settembre 1722, egli ha diviso – davanti al notaio – i beni che aveva in comune con lo zio e il cugino. Ciò avviene, probabilmente, perché egli si trasferisce in casa Levati, a Villa Caleffo di S. Pietro.
Il trasferimento in casa Levati può avere molte spiegazioni: Donina viveva solo con la madre (proprietaria della casa), mentre Battista poteva offrirle solo una camera a Buzzoletto. In più, Battista non poteva abbandonare la sorella, ancora minorenne; né Donina poteva lasciare a sé stessa la madre. È probabile, invece, che a villa Caleffo ci fosse posto per tutti; e la casa – come dicevo – era di proprietà, il che escludeva il pagamento di un affitto.
Ritroviamo, dunque, Battista in casa Levati in uno Stato delle Anime della Parrocchia di S. Pietro del 1725, tre anni dopo le nozze: abita con la moglie, la suocera, il giovane cognato Natale, la sorella Catarina e due figli piccoli, Giovanni e Carlo. Nell’elenco, la suocera viene registrata per prima, a sottolineare la proprietaria della casa. Solo dal 1753, dopo la morte di Margarita Valentini, comparirà nello Stato delle Anime la dicitura “casa sua”, riferibile a Battista.
Stati delle Anime, 1725 (Viadana, Chiesa di San Pietro, archivio parrocchiale)
Mi chiedo: perché Battista non ha chiesto alla madre di andare a vivere con lui e Catarina? Ma: è una domanda che ha senso? Forse i rapporti con la madre si erano già deteriorati.
LETTURA DI UN DOCUMENTO: STATO DELLE ANIME, 1725
Premessa
A differenza dei registri dei battesimi e dei matrimoni, la cui compilazione obbligatoria fu istituita dal Concilio di Trento (1545-1563), la registrazione degli stati delle anime fu prescritta da un atto della Apostolicae Sedis nel 1614, sotto il papato di Paolo V. Le disposizioni prescrivevano al parroco di registrare tutti i componenti di ogni famiglia della parrocchia, compresi i lavoranti conviventi, per verificare il loro adempimento dei sacramenti.
Tutti gli anni il parroco, in genere durante la benedizione pasquale nelle varie case, doveva compilare e aggiornare i dati. Ogni persona, in genere, veniva riportata con nome e cognome, età, rapporto di parentela col capofamiglia, o rapporti lavorativi; seguiva la segnalazione dell’adempimento dei sacramenti di cresima, confessione e comunione (indicati con la sigla C).
Quando i registri sono presenti negli archivi parrocchiali, diventano una fonte di informazione preziosa per conoscere i nuclei familiari, i rapporti di parentela, il lavoro del capofamiglia, il nome dei borghi o delle vie, la proprietà o meno della casa. Purtroppo, secondo la mia esperienza, trovare gli stati delle anime in un archivio parrocchiale, è un evento raro. Considerati probabilmente registri meno probatori degli altri, spesso sono andati perduti.
Tuttavia, l’archivio parrocchiale di San Pietro di Viadana ne conserva molti (non tutti, purtroppo).
Qui i registri, riguardanti “Lo stato delle anime”, sono fascicoletti, alti e stretti, divisi per anno, compilati in modo piuttosto sommario. Probabilmente il momento (la benedizione delle case) non favoriva la concentrazione; in più, la persona che il parroco vi trovava – e che interrogava – non aveva notizie certe di tutti.
Inoltre, a quei tempi, la data di nascita e l’età non erano argomento di ricordo o di conversazione.
Vediamo il documento
Trascrivo:
Margaritta Luati ved. di an. 55 C C C Battista Mignoli di anni 22 C C C Donina moglie di anni 28 C C C Giovanni figlio di anni 1 Carlo figlio di an. 0 Cattarina cugnata di an. 22 C C C Natale Luati di an. 14 C C C
Notare le imprecisioni:
il cognome Levati è stato trasformato il Luati (derivazione probabile dal dialetto),
di Battista non viene detto il rapporto parentale (“genero”) con Margaritta (la capofamiglia, poiché messa per prima).
Anche di Donina non viene detto il rapporto con Margaritta, “figlia”, ma piuttosto il rapporto con Battista, “moglie”.
I due bambini sono denominati nel loro rapporto con Battista, “figli”.
La situazione di Cattarina è capovolta: sorella di Battista, viene detta “cognata” – si presume di Donina.
Di Natale Levati, figlio di Giovanni, fratello di Donina e quindi nipote di Margaritta, non viene detto nulla. Era nato nel 1712: aveva 13 anni.
Inoltre: Battista ha 27 anni (ne fa 28 a novembre), Margaritta Valentini ved. Levati dai 65 ai 68 anni, non certo 55! Quanto a Cattarina, ho già sottolineato la difficoltà di definirne l’anno di nascita.
I FIGLI, GLI ANNI SEGUENTI
Intanto, alla coppia di sposi erano nati i primi figli: Giovanni, appunto (che rinnovava nel nome il nonno paterno), il 23 agosto 1723, dieci mesi dopo il matrimonio; e Carlo Felice, nato il 31 ottobre 1724. Il primo morrà nel giugno 1726, a meno di tre anni; il secondo nel maggio 1728, a meno di quattro.
Atto di nascita di Giovanni, figlio di Battista, 23 agosto 1723Atto di nascita di Carlo Felice, figlio di Battista, 31 ottobre 1724
Atto di morte di Giovanni, 1 giugno 1726 Atto di morte di Carlo Felice, 20 maggio 1728
La storia dei figli di Battista e Donina avrà questa triste sequela di nascite e morti: di sette figli, solo tre raggiungeranno la maggiore età e solo due vivranno una vita adulta.
Nel 1726 si sposa Catarina Mignoli e Battista le dà, come parte di dote, la porzione della casa di Buzzoletto, quella ereditata nella suddivisione dei beni dei nonni: una camera superiore, l’andito, la cantina e “altre sue comodità” – come si diceva allora. Col rogito della dote di Catarina si chiude, per questo ramo della famiglia Mignoli, ogni rapporto con la casa avita.
Nello stesso anno 1726, il 19 novembre, nasce un terzo figlio maschio, anch’egli chiamato Giovanni (il primogenito, dello stesso nome, era morto nel giugno precedente).
Il 21 maggio 1728 muore il piccolo Carlo Felice.
Il 18 gennaio 1729 nasce Margarita (il nome è certo un omaggio alla suocera) che, però, vive solo un anno e mezzo: muore l’8 luglio 1730.
Un mese dopo, il 30 agosto 1730, nasce un’altra bambina, anch’ella chiamata Margarita.
Il 6 marzo 1732 nasce Isabella, che vivrà solo due anni.
ANNI DI STASI E DI GUERRA
Gli anni Venti del Settecento sono quasi di stasi per la comunità viadanese, che potrebbe anche definirsi tranquilla, non fosse per le frequenti tasse, da pagare per il mantenimento delle truppe imperiali (sei compagnie di cavalleria qui acquartierate per 18 mesi), per i furti continui e rilevanti commessi da delinquenti e sbandati, e per i quali la comunità invia una supplica di intervento al conte Arconald, comandante della fortezza.
Nel 1732 fallisce il Monte di Pietà di Viadana; solo sette anni dopo, nel 1739, i creditori ricevono un parziale risarcimento dei beni impegnati. Viene perciò rimandata la prevista soppressione dei sei banchi feneratizi ebraici, perché da qualche parte la popolazione deve pur accedere al denaro a prestito.
Nello stesso 1732 ricompare l’epizoozia che si abbatte sul bestiame per alcuni anni.
Poi nuovi venti di guerra si addensano.
Scoppiata nell’autunno del 1733 la guerra di Successione polacca, per lo strano intreccio di rivalità e alleanze delle potenze europee, il re sabaudo avanza fulmineamente in Lombardia, cacciandone gli imperiali, che riparano in Mantova e si dispongono all’assedio. Le campagne mantovane devono mandare rifornimenti alla città di frumento, vino, commestibili vari, legna e fieno.
L’esercito franco-sabaudo si arresta sotto Guastalla, poi attraversa il Po, giunge a Viadana, dove lascia alcune truppe, e si dirige all’assedio di Mantova.
Il 1734 fu un anno di grande siccità e i prezzi dei generi alimentari salirono alle stelle.
E di nuovo il fronte di guerra si spostò a Guastalla, verso il Viadanese: l’esercito franco-sabaudo di 30 mila uomini, vi si accampò a fine aprile 1734. Temendo una rivolta popolare, il governatore viadanese, Ippolito Gardani, diffondeva una grida in cui ingiungeva agli abitanti di non opporsi agli invasori, né con la forza né con le armi, nel caso di un qualche eccesso. Ma a S. Matteo delle Chiaviche, ad esempio, i paesani si ribellarono perché i soldati avevano tagliato, e dato come biada ai cavalli, una grande quantità di frumento.
La concentrazione dell’esercito francese era soprattutto a Cizzolo, ritenuta la zona più esposta: qui, costruito un ponte sul Po, i militari si spostarono verso Brescello, Boretto e Guastalla.
Gli eserciti andavano e venivano, transitando nel Viadanese: imperiali, francesi, sabaudi, dalla primavera all’estate all’autunno. Nell’Oltrepò mantovano una grande epidemia di tifo decimava popolazione e truppe.
Il 19 settembre dello stesso 1734 si svolgeva la sanguinosa battaglia di Guastalla: gli imperiali, sconfitti, presero la via per Mantova.
Nel novembre gli eserciti si acquartierarono a Cremona, a Sabbioneta, a Gazzuolo. Viadana, questa volta, fu risparmiata: forse il territorio antistante Guastalla e Luzzara era stato troppo sfruttato e, di conseguenza, impoverito.
Perché, già nel maggio precedente, la tremenda siccità era terminata; ma, nel giugno, grandinate rovinose avevano saccheggiato i raccolti. Ogni attività commerciale era ferma per l’interruzione di scambi e contatti con gli altri Stati; per cui, assurde e incomprensibili e oltremodo pesanti dovevano apparire le imposizioni fiscali: l’aumento del prezzo del sale, in primis, ma anche l’obbligo di consegna di 20 mila sacchi di grano per il mantenimento delle truppe.
La primavera del 1735 riporta eserciti nel Viadanese dove perduravano, tuttavia, la malattia del bestiame e la carestia: già il 10 marzo la Comunità locale rivolgeva una supplica all’imperatore, in cui era detto che “per la presenza di tante truppe, il paese soffriva penuria di alimenti, essendo [anche] impedita l’introduzione di salami, olio e carni ecc.”
Ha scritto il Muratori: “In tali avvenimenti, nel passaggio e ritorno da Parma a Mantova e dallo Stato Mantovano a quello di Parma delle molte e numerose milizie, ora Spagnuole ora Gallo-Sarde ed ora Alemanne, rivalicando il Po per Casalmaggiore e Viadana, i nostri abitanti ebbero a soffrire moltissime angustie e danni di cui per molto tempo dovettero soffrire le funeste conseguenze”.
Una testimonianza diretta di quale fosse la condizione del Mantovano in questo periodo, ci viene dalle pagine di diario del parroco di Redondesco, un paese della parte occidentale della provincia, a una ventina di chilometri dal nostro. Nel giugno egli scrive:
“già l’armata gallo-sarda è passata con gran danno del povero Mantovano tagliando molti formenti e per lo svaliggio di tutte le foreste. Il saccheggio dei soldati è così vasto che può dirsi felice quella casa che ne è stata preservata. I bestiami minuti sono i primi ammazzati, ed alcuni rubano la stalla intera, rispetto ai mobili non si lasciano che le muraglie, per lo più lasciano andare il vino per le cantine, dopo aver bevuto e riempito qualche piccolo vaso. Chi vuol resistere contro tanto male, va a pericolo della vita essendo questi soldati molto presti a inarcar l’archibugio o le pistole o adoperare la sciabola”.
E nel luglio:
“Abbiamo perduto l’erbadella seconda seganda, soffriamo di una grande siccità che se perdura perderemo il formentone e il miglio […] Non abbiamo più né fieno né erba né prati da pascolare e dura tuttavia l’assedio di Mantova”.
A proposito dell’assedio della città, l’estate fu talmente torrida che gli eserciti assedianti dovettero ritirarsi in luoghi più salubri, lontano dalle esalazioni e dall’afa dei laghi. Se la città poté essere nuovamente rifornita, i paesi della provincia subirono danni immensi per requisizioni e saccheggi.
Poi, a fine anno, fu proclamato l’armistizio.
QUESTIONI ECONOMICHE
In tante travagliate vicende, il nostro Battista – come buona parte della popolazione – non ebbe tempo per pensare ad altro che non fosse la salvaguardia della vita, sua e della famiglia.
Il primo atto notarile che lo coinvolge è infatti datato 1736 e riguarda la famiglia dei Levati: la moglie Donina e due suoi cugini sono chiamati a rispondere di un debito, contratto dai loro padri (i fratelli Natale, Pietro Giovanni e Francesco), anni prima, con Giovanni Maria Mozzi. La cifra che i tre cugini devono corrispondere è piuttosto alta; e ciò coinvolge le finanze di Battista, il quale mette a disposizione della moglie buona parte della somma.
L’anno dopo, il 23 dicembre 1737, Battista deve invece affrontare una causa che lo riguarda: assieme ai cugini Pietro Francesco (fu Girolamo), Giovanni e Francesco (del fu Domenico), deve rispondere alla denuncia di Giacomo Antonio Bottenghi – che agisce in nome dei figli della defunta Maria Mignoli, loro zia – reclamando una parte della dote di lei, che non era stata interamente corrisposta. Battista e i cugini vendono allora due biolche di terra arativa e opulata, sita in Buzzoletto, per 1.240 lire. Nella divisione che ne segue, a Battista vanno poco più di 366 lire.
L’EREDITÀ DI MARGARITA VALENTINI
Nel 1738 muore la suocera, Margarita Valentini.
Il suo testamento, del 14 gennaio 1730, e il codicillo testamentario, dell’11 gennaio 1738 (quando giace malata a letto, assistita da figlia e genero), parlano chiaro: Margarita lasciava alle figlie, Lucrezia Catarina e Anna Maria, un legato di lire 400 per ciascuna; una uguale cifra veniva lasciata al figlio Giovanni. Tutto quanto il resto, in denari, beni mobili e immobili veniva lasciato in eredità alla figlia Donina, sua erede universale, e al di lei marito Battista Mignoli. A entrambi Margarita rivolge il suo ringraziamento per avere “sborsato una forte somma” nella causa contro Giovanni Battista Mozzi, circa i beni del suo defunto marito; e per essersi assunti “l’onere di affrancare un capitale censuario” (di cui non abbiamo l’atto). Una sorta di risarcimento per avere salvato i beni e l’onore di famiglia.
In più, Margarita lascia al nipote Giovanni, figlio di Donina, il suo anello d’oro.
Tutto a posto? No. Sette anni dopo, il 31 ottobre 1745, Natale Levati, orfano di Giovanni (fratello di Donina), dichiara di aver avuto – in quella data – 30 lire a saldo della parte di legato, fatto dalla nonna Margarita a suo padre. “A saldo” significa che Battista Mignoli gli ha versato, con quella cifra, tutte le 400 lire stabilite dal legato testamentario.
Eppure due anni dopo, il 5 luglio 1747, ancora Natale Levati reclama da Battista per sé e i fratelli (Giulia, Ludovico e Antonio) altre 15 lire, “in saldo” ancora del legato di Margarita Valentini al loro padre, Giovanni Levati. Non lo so spiegare e non so come si concluse la richiesta. Tuttavia, nei tempi successivi, stando ai documenti che ho consultato, le rivendicazioni cessano del tutto.
L’EREDITÀ MATERNA
Il 7 ottobre 1739, quando Donina ha già 43 anni, nasce l’ultimo figlio. È un maschio e lo chiamano Francesco Maria.
Il 1° dicembre 1747 muore la madre di Battista, Domenica Grazi. Di quali potessero essere i rapporti fra madre e figli, ho già detto. Il testamento è chiaro: ai due figli va solo la “legittima” e “per ragioni di natura”; al nipote Francesco Maria Grazi, figlio del fratello, tutti i restanti suoi beni.
Il 14 febbraio 1748 Battista e Catarina Mignoli ricevono da quest’ultimo la somma complessiva di 533 lire e 7 soldi in beni mobili e denari. I beni mobili comprendono sei sottane, un sochino, quattro camicie nuove e due paia di lenzuola; i denari ammontano a 266 lire.
DIGRESSIONE STORICA 1737-1750
Dopo la pace di Vienna, stilata nel 1738 fra Austria e Francia (che segnava la fine della guerra di Successione polacca), era avvenuta l’unificazione di tutta la Lombardia austriaca. Governatore di Mantova era il conte Von Traun, vicegovernatore il conte Luigi Cocastelli; nell’amministrazione erano stati chiamati numerosi funzionari austriaci, anche per meglio controllare la pressione fiscale.
Nel 1740 muore l’imperatore Carlo VI d’Asburgo: gli succede – per effetto della Prammatica Sanzione – la figlia Maria Teresa. Inizia la guerra di Successione austriaca: le azioni belliche in territorio mantovano si svolgono nella sezione nord-orientale, al confine col Veronese. Stavolta Viadana non viene coinvolta. Ma occorre pagare pesanti contribuzioni.
L’inverno del 1741 è mite, ma ai primi di maggio nevica abbondantemente, con le conseguenze che possiamo immaginare.
Arriva l’obbligo di denunciare i grani; inoltre, i possidenti del Viadanese – Battista compreso, dunque – devono pagare 3 mila fiorini per contributi di guerra. Ed altri 10:8 soldi per biolca di terra, al fine di mantenere le milizie ducali. E altre tasse ancora per incrementare la Cassa di guerra.
Nel marzo 1742 compare nei cieli una cometa “con la coda verso levante” che “sembrava presagire grandi sciagure” – così scrive l’Amidei.
Il 14 maggio 1742 giungeva nel Viadanese l’ordine di aprire un ospedale per i militari che combattevano nel territorio emiliano e approdavano nel Mantovano. Poco dopo venne la richiesta di contribuzione straordinaria di tremila sacchi di frumento e diecimila di frumentone, per le truppe imperiali dirette verso il modenese.
La guerra portava delinquenza: soldati sbandati e fuggiaschi assalivano le case, i granai, rubavano e ammazzavano. Tanto che, il 3 luglio 1743, Maria Teresa emanava un editto che permetteva a tutti i sudditi di armarsi per la propria difesa, essendo “tanto cresciuti i latrocinii e le violenze”, e di uccidere i criminali.
Mentre, nello stesso luglio 1743, viene dato il bando ai territori dello Stato Pontificio per sospetto di peste, si interrompono i commerci col Ferrarese e vengono sospesi i traghetti sul Po; nel novembre il bando viene esteso alla Toscana, per evitare ogni contaminazione; nel Viadanese l’epidemia di epizoozia, che colpiva i bovini, giunge al colmo. Le Comunità ordinano tridui e le parrocchie fanno processioni e voti.
Nel 1746 la guerra si avvicina: gli Spagnoli – nemici dell’Austria – occupano Guastalla, con scorrerie anche a Viadana e Dosolo. Ma già nell’agosto gli Austriaci prendono possesso del Guastallese e – essendone morto l’ultimo duca – occupano anche gli altri suoi territori (Bozzolo, Sabbioneta, Luzzara, Reggiolo).
L’armata imperiale aveva requisito i bovini – i pochi sopravvissuti all’epizoozia – per trainare i carriaggi nel territorio parmense, zona di guerra. Quegli stessi animali se ne tornano nel Mantovano malati e periscono in gran numero: da giugno a dicembre 1746 le perdite furono di 19.493 capi. Con conseguente rincaro dei prezzi di burro, formaggio, carni e altri generi alimentari. Perché, senza più buoi per lavorare la terra, anche i cereali rincarano.
E ancora aggravi fiscali e alloggiamenti di militari.
Nel 1748 la guerra finisce con la pace di Aquisgrana. Inizia un periodo tranquillo di quarant’anni.
Nel successivo riordino amministrativo della Lombardia austriaca, il Mantovano viene diviso in 19 circoscrizioni, ciascuna con a capo un pretore. Viadana diventa pretura di mero e misto imperio ed è considerata ancora marchesato.
GLI ULTIMI ANNI DI VITA DI BATTISTA
Il 29 gennaio 1750, in tempo di pace dunque, il figlio maggiore di Battista, Giovanni, sposa Maria Maddalena Berselli. Un anno dopo nasce il nipotino Giovanni Battista.
Le felicità dura alcuni mesi: il 6 dicembre 1751 la figlia Margarita muore a soli 21 anni. Battista e Donina perdono l’unica figlia femmina loro rimasta.
Di questi anni, che vanno dal 1751 e sono gli ultimi della vita di Battista Mignoli, non abbiamo documenti notarili; però fanno fede gli Stati delle Anime della Parrocchia di S. Pietro: la famiglia è composta da Battista, Donina, i figli Giovanni e Francesco, la nuora Maddalena e via via i nipotini. Battista farà in tempo a conoscerne quattro: il già detto Giovanni Battista, Giuseppe Maria (che vedrà anche morire), Maria Margarita e Maria Lucrezia Isabella.
Poi, il 3 settembre 1757, Battista muore: deve ancora compiere i 59 anni.
Atto di morte di Battista Mignoli fu Giovanni, 2 settembre 1757
Battista Mignoli ha vissuto in anni complicati. La prima metà del Settecento è stata funestata da guerre e miseria.
È singolare come di lui non ci siano rimasti documenti di compravendita, rispetto a quanto invece avverrà coi suoi figli. Lo stato di guerra e le tasse continue, i debiti della famiglia della moglie – che ha onorato come fosse famiglia sua – lo avevano reso probabilmente oculato. Si teneva quanto aveva e cercava di non perderlo. Erano lontani da lui investimenti e speculazioni.
Anche se non ci è rimasto il testamento, i due eredi, tuttavia, si trovarono un patrimonio solido che seppero far fruttare con sapienza.
NOTE Riguardo all’assedio di Mantova, la città era una “posizione strategica di grande importanza, su cui si concentravano gli appetiti sia sabaudi che spagnoli. Il governo madrileno non aveva fatto alcun mistero avanzando una precisa richiesta di Mantova, considerata insostituibile base per controllare le regioni padane” (Storia d’Italia, V, 214).
Per i documenti notarili, AS.MN. fondo Notarile, not. Avigni.
Per il testamento e il codicillo testamentario di Margarita Valentini vedova Levati, AS.MN. fondo Notarile, not. Vecchi.
Per gli eventi storici, ho consultato Parazzi, cit., Amadei cit. (Amadei 464). M. A. ROMANI, Alla ricerca di una identità, in Storia di Mantova, vol. II, Mantova, 2012, pp. XVII-XXVII.
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