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- PERFUGAS
- PORTO TORRES
- STINTINO
ALGHERO

Chiamata Piccola Barcellona, per la cultura catalana che vi domina (il nome catalano era Alguer): nei colori, nel gusto per la bellezza, è la cittadina meno sarda della Sardegna. Fondata nel 1102, l’Alghero catalana data al 1354, quando re Pietro III d’Aragona, che l’aveva conquistata l’anno prima, cacciò dalla città Sardi e Liguri, installandovi una colonia di Catalani.


Ad Alghero merita una visita tutto il centro storico, di chiara matrice architettonica spagnola. In gran parte ristrutturato nel corso degli ultimi vent’anni, è un autentico gioiello che rende ancor più gradevole la permanenza nella cittadina catalana, nella quale ancora oggi si parla la lingua della Catalogna.








Da vedere:
- Il complesso monumentale di San Francesco (vedi sotto)
- Gli antichi bastioni con la straordinaria passeggiata lungo il mare a attorno alle mura.
- La spiaggia di Maria Pia, di rena bianca, protetta da dune, coperta di macchia mediterranea e da fitte pinete. Si estende per due chilometri. È di rado ventosa e il mare è quasi sempre calmo.
- Il porto a ridosso delle mura.
- La piazza Civica, dominata dall’antico Palau d’Albis, un pregevole edificio gotico dove nel 1541 il re spagnolo Carlo V, giunto in visita, proclamò gli algheresi “todos caballeros” per ringraziarli dell’ospitalità.
- Da via Carlo Alberto, un intrico di vicoli che s’intersecano e offrono una varietà sconfinata di caffè, gelaterie, botteghe artigiane, vetrine oggettistiche ecc.



Complesso monumentale di S. Francesco

La Chiesa di San Francesco di Alghero è uno dei massimi esempi di architettura gotico-catalana in Sardegna. Si trova nel cuore del centro storico di Alghero, assieme all’annesso convento.
Nella seconda metà del ‘400, i frati francescani minori conventuali costruiscono la chiesa della quale si può ammirare la facciata, munita di un rosone di un metro circa di diametro. Nel 1593 la chiesa subì un parziale crollo, a causa di problemi statici legati alla presenza di falde acquifere sotterranee.
L’interno della chiesa è diviso in tre navate e dieci cappelle. La navata centrale è coperta da una volta a botte in pietra arenaria. Al di sopra degli archi si aprono otto finestre rettangolari.

L’aspetto più interessante è la parte presbiteriale, che presenta una meravigliosa volta a stella a quattro punte, evidenziata nel suo disegno da eleganti nervature: le chiavi di volta agli incroci sono realizzate in pietra bianca dura, con motivi geometrici, ora della conchiglia ora della margherita stilizzata.
Dalla sacrestia, si può accedere al Chiostro risalente al XV secolo. A pianta rettangolare, di contenute proporzioni e perfetta geometria, è costituito da due piani. Il primo è formato da 22 colonne in arenaria impreziosite da capitelli decorati.
Lo spazio aperto è dominato dall’agile struttura del campanile esagonale in stile gotico-catalano, concluso da guglia dentellata che, con il suo sviluppo verticale, conferisce un certo slancio alla severa architettura del chiostro.


Torri e bastioni di Alghero
Alghero è una delle poche città fortificate italiane ad aver mantenuto circa il 70% delle sue mura (manca la parte dal forte della Maddalena alla Torre dell’Esperò Rejal), con annesse torri: recentemente valorizzati da un restauro, i bastioni offrono una passeggiata sul mare che circonda la città vecchia, e si congiungono con il Lungomare Dante.
I bastioni che difendono la città vecchia dal mare sono dell’epoca catalano-aragonese.







Tuttavia, non solo le fortificazioni aragonesi sono presenti sul territorio algherese: durante la seconda guerra mondiale numerosi fortini e capisaldi furono eretti qui e in tutta la Sardegna a difesa della costa e dell’entroterra; molti di questi vengono tuttora utilizzati come abitazioni temporanee, anche se ci sono ovviamente tensioni con le basi NATO (soprattutto con la base della Speranza), che ha richiesto che almeno venissero murati i tunnel ancora agibili che li collegano all’area militare.

ÀRDARA
Ardara (Àldara in sardo) è un comune di 700 abitanti della provincia di Sassari, nell’antica regione del Logudoro.
Nel Medioevo Ardara fu dimora dei giudici di Torres (la Sardegna era divisa in Giudicati e i Giudici avevano la funzione di re del loro Giudicato) dopo che la corte vi si trasferì. I sovrani avevano deciso di abbandonare la terra principale, Porto Torres, a causa del clima non salubre e per le continue minacce dei pirati barbareschi.
Ad Àrdara furono costruiti il palaczio regis (il palazzo del giudice e del governo), e la cappella palatina di Santa Maria del Regno.
La morte senza eredi di Adelasia di Torres, nel 1259 circa, causò la fine del giudicato di Torres. Àrdara fu dapprima assegnata alla famiglia genovese dei Doria, poi venduta al giudice di Arborea.
Alla fine della lunga guerra sardo-catalana (1353-1420) passò agli aragonesi. Furono gli anni più bui della storia sarda. Tra le conseguenze, vi fu lo spopolamento e la scomparsa di centinaia di centri abitati, causato dalle azioni di guerra, dalle frequenti epidemie di peste e dalla riduzione in schiavitù di migliaia di sardi, deportati nei territori dell’Aragona e in particolare nelle isole Baleari.
Àrdara restò spopolata per secoli.
Oggi è un piccolo borgo, con una maestosa chiesa che testimonia un passato glorioso.
Chiesa di Santa Maria del Regno

Santa Maria del Regno è una chiesa romanica, già cappella palatina dei giudici di Torres.
Fu eretta nell’XI secolo: qui prestarono giuramento e trovarono sepoltura diversi giudici turritani.
La chiesa venne edificata in trachite ferrigna (da qui il colore scuro, ferroso) da maestranze pisane. Al centro della facciata, si trova il portale architravato, sormontato da una bifora. Sul lato sinistro dell’edificio ciò che resta della torre campanaria, attualmente mozza.

L’interno, a pianta rettangolare, è diviso in tre navate tramite due serie di colonne, che sostengono archi a tutto sesto su capitelli scolpiti a motivi floreali. La copertura della navata centrale è a capriate lignee, mentre le navate laterali, presentano coperture a crociera.

Nell’abside semicircolare si trova l’imponente retablo Maggiore, il più grande polittico del ‘500 in Sardegna. L’opera, alta circa dieci metri e larga sei, si compone di trentuno tavole dipinte, separate da intagli di legno dorato. Le tavole rappresentano profeti e santi, oltre alle vicende della vita di Maria. Al centro del retablo è la statua lignea di Nostra Signora del Regno, in cui la Madonna, che tiene in braccio il bambin Gesù, è rivestita di insegne regali (corona e scettro).
All’interno della chiesa si possono ammirare anche il retablo minore, oltre ad una serie di dipinti, risalenti al ‘600, addossati alle colonne, raffiguranti alcuni apostoli e altri santi.
BOSA

Un incantevole borgo. La prima immagine di Bosa è il quartiere storico di sa Costa, fatto di case variopinte che si inerpicano sulle pendici del colle di Serravalle, dominato dal castello dei Malaspina, risalente al XII secolo.

Il poetico Lungotemo con il Ponte Vecchio che cavalca il Temo, unico fiume navigabile in Sardegna, alla scoperta delle antiche concerie, che ricordano le radici di un centro famosissimo in Italia da metà 1800 a inizio 1900 per le produzioni di pellame d’alta qualità. A testimoniarlo anche il museo delle Conce.

All’interno del borgo la chiesa dell’Immacolata Concezione, duomo cittadino. Dentro le mura del castello sorge la chiesa di Nostra Signora de sos Regnos Altos, impreziosita da un ciclo di dipinti del 1370.
Nella foce del Temo sorgono il porto turistico fluviale e accanto Bosa Marina, località molto apprezzata e premiata ogni anno dalla Guida Blu di Legambiente. Le spiagge di s’Abba Druche, Portu Managu, Turas e Compoltitu completano lo scenario di bellezze costiere.
Concattedrale dell’Immacolata Concezione, duomo

L’edificio sorge nel centro storico, tra il corso Vittorio Emanuele II e il lungo Temo, all’altezza del ponte ottocentesco.
Il tempio ha all’esterno due cupole, coperte di maioliche colorate, e un tozzo campanile in arenaria rossa. L’interno è a navata unica voltata a botte. La prima cappella a destra è il “cappellone” del Sacro Cuore, molto sviluppato in lunghezza e organizzato come una piccola chiesa a sé.
L’area presbiteriale è coperta da una cupola ottagonale e conclusa da un’abside semicircolare; è rialzata e separata dalla navata da una balaustra marmorea. Vi si accede tramite tre scale; alla base della scala centrale sono posti due leoni marmorei. In marmo è anche l’altare maggiore, con le statue dell’Immacolata e dei santi Emilio e Priamo, patroni di Bosa. Dietro l’altare sono disposti gli stalli intagliati del pregevole coro ligneo.
Chiesa di Nostra Signora de Sos Regnos Altos
Il piccolo tempio si trova entro le mura del castello di Serravalle e presenta, al suo interno, un interessante ciclo di affreschi trecenteschi.

Nel 1847, fra le rovine del castello, un ragazzo ritrovò una statua lignea della Vergine che allattava Gesù bambino. Il rinvenimento, considerato miracoloso, portò a dedicare la chiesa del castello alla Madonna, e le fu attribuito il titolo di Nostra Signora de Sos Regnos Altos, con riferimento alla posizione sopraelevata del luogo di culto.
Durante un restauro della chiesa, nel 1974, vennero alla luce alcuni affreschi di autore ignoto, di un ciclo realizzato nel ‘300, e danneggiati nel tempo.

Lungo la parete sinistra, procedendo dall’abside verso l’ingresso, si vedono
- nella parte superiore, l’Adorazione dei Magi, l’Ultima Cena, i dottori della Chiesa e gli evangelisti;
- nella parte inferiore sono rappresentate santa Lucia, santa Maria Maddalena e altri santi: Marta, Giacomo maggiore, Eulalia, Agata, Agnese, Barbara, Vittoria, Reparata, Margherita, Cecilia, Savina e Orsula.
Nella controfacciata sono rappresentati
- in alto, san Martino ed il povero e san Giorgio che uccide il drago;
- in basso, santa Scolastica, san Costantino imperatore, sant’Elena, l’arcangelo Gabriele e la Vergine annunziata;
- accanto alla porta d’ingresso, è dipinto san Cristoforo.
Nella parete destra, sono raffigurati una serie di santi ignoti e il Martirio di San Lorenzo.
Chiesa di San Pietro

La chiesa di San Pietro è situata a Calameda, sulla riva sinistra del Temo, a circa due chilometri da Bosa. È una delle più antiche chiese romaniche della Sardegna, essendo stata eretta tra il 1053 e il 1073; venne dedicata a San Pietro, come attesta una iscrizione sopra il fonte battesimale.
A partire dalla fine del Duecento, con la costruzione del castello dei Malaspina sul colle di Serravalle e con il popolamento del sottostante borgo, la chiesa di San Pietro fu abbandonata e sostituita dalla chiesa di Santa Maria, nel nuovo abitato di Bosa.
La facciata è in trachite rossa locale; è scandita da tre archi (quelli laterali più bassi) a sesto acuto. Gli archi poggiano su quattro semi-pilastrini. L’arcata mediana incornicia il portale, sormontato da un architrave di calcare bianco e arco a ogiva. L’architrave è scolpito con un motivo a finta loggia, con sei archetti scanditi da colonnine tortili.

L’interno ha il pavimento più basso, rispetto all’esterno, di 60 cm; è a tre navate, con nove archi a tutto sesto per lato, sorretti da pilastri rettangolari. La navata centrale è coperta da capriate lignee, mentre le navate laterali hanno una volta a crociera.
In corrispondenza del primo pilastro a destra, a partire dall’ingresso, si trova il fonte battesimale in calcare bianco con una croce greca per ciascun lato. Sopra vi è, murata, l’epigrafe di dedicazione della chiesa del 1073.


Castello di Serravalle

Si trova sulle alture dell’omonimo colle, e fu edificato in varie fasi a partire dal Duecento, dopo la fine del giudicato turritano. La parte più antica fu costruito dai Malaspina, mentre sotto il dominio degli Arborea (dal 1317) la cinta muraria fu estesa sull’intero altopiano, per una lunghezza di 352 m, con diverse torri: se ne conservano sette. Gli Aragonesi, impossessatesi del castello nel XV secolo, abbassarono alcune torri e costruirono spalti di terrapieno per posizionare le armi da fuoco.
Domus de janas

Di età preistorica sono le numerose domus de janas* (almeno trentasei) presenti in varie località del comune di Bosa. Tra queste è rilevante la Tomba I di Pontes la quale presentava delle pareti interne levigate e dipinte di rosso, simbolo del sangue e della rigenerazione, e sulle quali è incisa una raffigurazione di doppie corna, a testimonianza del culto della divinità taurina.
*Domus de Janas (le Case delle Fate), denominazione attribuita dalla leggenda popolare alle sepolture arcaiche scavate nella roccia, tipiche della Sardegna interna. L’isola ne custodisce migliaia.
Il pizzo in filet

Nel comune è diffusa da secoli la lavorazione del pizzo in filet, su rete realizzata a modano.
Ancora oggi, il filet di Bosa mantiene caratteristiche uniche che lo differenziano da qualsiasi altra lavorazione eseguita con la medesima tecnica, e diffusa in diverse aree del Mediterraneo. Ciò dipende sia dal mantenimento delle antiche tecniche di lavorazione della rete a modano (invece della rete a uncinetto diffusa altrove), sia per la ricchezza dei disegni, legati alla tradizione sarda, sia per la ricchezza di punti utilizzati.
Il forte legame tra la città e il ricamo del filet è testimoniato dall’elevato numero di donne che, fino a vent’anni fa, affollavano le vie del centro per eseguire i loro lavori all’aria aperta. Preziosi merletti si trovano nelle chiese e nelle case di Bosa, o sono esposti nei balconi per la festa di Nostra Signora di Regnos Altos.
Castelsardo

Castelsardo, talvolta Castel Sardo, (Castheddu Sardhu in sassarese, Calteddu nella parlata locale in castellanese, Casteddu Sardu in sardo) è un comune di poco più di 5.500 abitanti.
Castelsardo è un incantevole borgo medioevale, situato nel Nord Sardegna, in provincia di Sassari, adagiato su un promontorio che si affaccia proprio al centro del Golfo dell’Asinara.
La città fa parte dei “Borghi più belli d’Italia“, di “Les Plus Beaux Villages de la Terre”, delle “Città regie della Sardegna” e delle “Città storiche del Mediterraneo“.
La particolare posizione e l’esistenza di piccoli approdi naturali, permise al luogo di diventare sede di antichi insediamenti pre-nuragici e nuragici.
Nel Medioevo è stato fortezza inespugnabile, protetta da possenti mura e 17 torri. Il nucleo originario di Castelsardo fu costruito attorno al castello dei Doria, risalente a fine ‘200, ed è l’attuale sede del suggestivo museo dell’Intreccio mediterraneo, uno dei più visitati della Sardegna.
Essa fu, infatti, durante le varie lotte per il possesso dell’isola, prima la sede dei Doria in Sardegna, passando poi ai Giudici di Arborea, tanto che la moglie di Brancaleone Doria, Eleonora d’Arborea, vi abitò per anni; fino agli aragonesi, che uscirono vincitori dagli ultimi conflitti. Nel 1767 Castelsardo, sotto la dinastia sabauda, assunse l’attuale denominazione.
Concattedrale di Sant’Antonio Abate

La concattedrale di Sant’Antonio Abate è il principale luogo di culto del borgo. L’edificio, che stilisticamente fonde elementi del gotico catalano e del classicismo rinascimentale, si trova nel centro storico, in posizione panoramica, a picco sul mare. Mantiene intatto l’aspetto di luogo fortificato, grazie ai bastioni e ripide scale.

È caratterizzato dall’alta torre campanaria, coperta da un cupolino maiolicato.
L’interno è costituito da navata unica voltata a botte, cappelle laterali e transetto; in quest’ultimo sono ancora presenti degli affreschi attribuiti a Andrea Lusso, il più noto pittore del ‘500 in Sardegna.

Il presbiterio è rialzato e chiuso da una balaustra marmorea.
L’abside, con volta a crociera stellata, è a pianta quadrangolare e accoglie l’altare maggiore in marmo, in cui troneggia la tavola della Madonna con Bambino assisa in trono, dipinta nel ‘400 dall’artista noto come Maestro di Castelsardo.
Interessanti anche alcuni altari lignei e l’organo a canne del ‘700 situato sulla cantoria in controfacciata.

Numerose opere d’arte sacra si possono ammirare anche nei sotterranei della cattedrale, da alcuni anni adibiti a museo diocesano; tra le altre si ricorda il San Michele arcangelo, del maestro di Castelsardo, che insieme alla Madonna dell’altare maggiore e ad altre tavole componevano originariamente un retablo.
L’intero borgo è da visitare: edificato sulla rocca e interamente circondato da possenti mura (con 17 torri, delle quali solo tre a pianta quadra) è costituito di case antiche di secoli.
Altri edifici e luoghi da visitare:


- la chiesa di santa Maria delle Grazie, con il Cristo nero, ligneo;
- il palazzo La Loggia, oggi sede della municipalità;
- il palazzo Eleonora d’Arborea;
- il castello dei Doria del 1102, sede del rinnovato MIM (Museo dell’intreccio mediterraneo), il sito museale più visitato della Sardegna;
- la cinta muraria a mare ed il percorso di sentinella (ripristinato nell’area di Manganella, con l’accesso al mare “Mandracho del soccoro”, da cui si gode di una splendida vista sull’intero golfo dell’Asinara;
- il ponte levatoio e la porta Pisana, uno dei due accessi alla città, recuperati.

Il litorale castellanese è fatto di alte scogliere di trachite rossa. Pochi i tratti sabbiosi, tra cui la Marina di Castelsardo, all’ingresso del borgo, e la spiaggia di Lu Bagnu, distante due chilometri e mezzo, protetta da rocce.
Castelsardo è famosa anche per le testimonianze archeologiche e i monumenti naturali:
- nuraghe Paddaju;
- mura megalitiche prenuragiche di monte Ossoni;
- a quattro chilometri dal borgo, domus de Janas, rilievi ‘a protome taurina’;
- la roccia dell’Elefante.
Roccia dell’Elefante

È una delle più celebri rocce scolpite dalla natura, facile da raggiungere: si trova a 4 km da Castelsardo.
La sagoma è inconfondibile: un elefante sul ciglio della strada.
È una roccia di trachite color ruggine, staccatasi in antichità dal massiccio di monte Castellazzu e rotolata a valle. Qui, gli agenti atmosferici hanno provveduto a modellarla nella forma attuale, che ricorda quella di un elefante seduto.
La denominazione originale della roccia è sa pedra pertunta, ovvero ‘la pietra traforata’. È alta circa quattro metri e custodisce due domus de Janas, scavate su livelli differenti (costruiti nel periodo 3200-2800 a.C.). La tomba superiore è danneggiata dal crollo della roccia; l’inferiore si trova nella roccia sottostante. Essa contiene quattro vani: nelle pareti del primo sono scolpite in rilievo due teste bovine, con corna a mezzaluna.

Non lontano dall’Elefante c’è il nuraghe Paddaggiu: la torre principale si conserva in buone condizioni, è alta quasi 9 m. e con diametro di 11. La struttura originale comprendeva anche un bastione con due torri secondarie e un antemurale, entro il quale trovavano posto alcune capanne.
Da Castelsardo si può raggiungere in pochi chilometri Tergu, un comune di 600 abitanti. Qui si trova la bellissima chiesa di Nostra Signora di Tergu.
Chiesa di Nostra Signora di Tergu

La chiesa di Nostra Signora è una parrocchia situata nel paese di Tergu ed una delle massime espressioni dell’architettura romanica in Sardegna. La chiesa e i resti dell’adiacente abbazia si trovano in un’area campestre, accessibile attraverso l’arco in pietra, raggiungibile dal viale dei Benedettini.

La chiesa era un’abbazia benedettina e la sua fondazione si deve al giudice di Torres, Mariano I de Lacon-Gunale (che regnò tra il 1065 e il 1082).
L’edificio con pianta a croce commissa (a T), è composta da blocchi in trachite rossa con inserti calcarei. Questi materiali donano alla facciata un suggestivo effetto di bicromia. Accanto alla chiesa vi è poi un campanile, cui si accedeva da una scala interna.
Nella facciata è assente il frontone, ma sono presenti due colonnine. Il secondo ordine è composto da una falsa loggia di quattro colonne, due delle quali a zig zag e da un oculo quadrilobato. Particolarmente suggestivi sono i rilievi calcarei con ruote e motivi geometrici che si trovano fra le arcatelle.

L’interno, molto sobrio come impone la tradizione romanica, è composto da un’unica aula coperta a capriate lignee e dal transetto; l’abside quadrata, ospita uno splendido retablo, con tavole rappresentanti le scene di vita di Maria.
Nella nicchia centrale è custodito la statua marmorea della Vergine col Bambino, entrambi con indosso una corona aurea.


Da secoli la chiesa è meta della lunga (undici chilometri) e suggestiva processione del Lunissanti, che parte all’alba e ritorna, di notte con la luce delle fiaccole, a Castelsardo e apre la Settimana santa castellanese.
CODRONGIANOS
In provincia di Sassari, è un comune di circa 1200 abitanti.
I resti di 57 nuraghi testimoniano che il territorio era fortemente popolato già nel II millenio a. C., durante l’età del Bronzo.
Nel 1116 fu eretta nei pressi la basilica di Saccargia.
Nuraghe Nieddu




Il nuraghe Nieddu è collocato su una piccola altura; è un nuraghe monotorre di circa 11 m di altezza, con copertura a tholos (cupola). Venne costruito utilizzando grandi blocchi di basalto scuro che, assieme ai licheni di color giallo, ne caratterizzano la colorazione. Ne deriva il nome Nieddu che, in lingua sarda, significa scuro, nero.
Basilica di Saccargia

La basilica della Santissima Trinità di Saccargia è una chiesa in stile romanico-pisano, una delle realizzazioni più importanti di questo stile in Sardegna.
Fu completata nel 1116, sulle rovine di un monastero preesistente, per volontà del giudice Costantino I di Torres e della moglie i quali fecero un voto alla Madonna, che qui si venerava, per avere un figlio. Quando nacque il futuro Gonario II di Torres, la coppia finanziò la costruzione della nuova chiesa.
In seguito furono eseguiti da maestranze pisane lavori di ampliamento, una nuova facciata e l’altissimo campanile.
Il suo nome non deriva, come spesso si è detto, dall’espressione in lingua sarda logudorese “s’acca argia” (la vacca pezzata), ma dal nome medioevale, contenuto in documenti in lingua latina: “Sacraria“.

La facciata a tre ordini, è preceduta da un portico e ha la caratteristica bicromia a fasce di bianco calcare e nera pietra basaltica.
Il portico è aperto da tre archi a tutto sesto, sul davanti, e da due archi su ciascuno dei lati. I capitelli delle bianche colonne e dei bicromi pilastri angolari sono decorati da figure alate o mostruose. A nord-ovest si erge il campanile quadrangolare comunicante con l’interno.
L’impianto è a croce commissa (a forma di T), cioè ad aula unica terminante non con l’abside (croce latina), ma con un breve transetto su cui si affacciano tre cappelle absidali.

L’interno è coperto da un soffitto ligneo a capriate mentre i transetti sono coperti da volte a crociera in nuda pietra.
Nell’abside della cappella maggiore è conservato in modo completo un ciclo di affreschi (seconda metà XII sec.). Le pitture occupano il catino con il Cristo in mandorla con serafini, angeli ed arcangeli, mentre il semicilindro absidale è suddiviso in tre fasce: nella prima si allineano la Madonna orante con i santi; quella mediana illustra alcune scene della vita di Cristo (Ultima Cena, Bacio di Giuda, Crocifissione, Sepoltura e Discesa agli Inferi); in quella alla base è rappresentato un finto velario.
Nell’absidiola a destra è conservato anche il Retablo della Trinità del Maestro di Castelsardo.
Perfugas
Perfugas (Pèifugas in sardo, Pèlfuca/Pèifuga in gallurese) è un comune di circa 2.200 abitanti della provincia di Sassari. Si trova nella regione storica dell’Anglona.
Il nome Perfugas continua quello latino perfugas, ossia “immigrati, fuggiaschi”, con riferimento alla leggenda sull’origine della popolazione proto-sarda dei Bàlari che nell’antichità viveva in queste terre.
L’area fu abitata già nel Paleolitico inferiore, nel Neolitico, in epoca pre-nuragica e nuragica. Si trovano numerose testimonianze archeologiche risalenti a queste epoche, tra cui alcune tombe dei giganti, circa 15 domus de janas e 60 nuraghi.
Nel Medioevo fece parte del Giudicato di Torres. Alla caduta del giudicato (1259) passò ai Doria e successivamente (intorno al 1450) agli Aragonesi.
Chiesa di Santa Maria degli Angeli

Al centro del nucleo più antico del paese, nei pressi degli scavi del pozzo sacro di Predio Canopoli, la chiesa risale nelle sue forme attuali a un periodo tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600. Al Settecento risale la costruzione dello slanciato campanile.

L’interno ha un impianto basilicale a tre navate poco sviluppato in lunghezza e dotato di abside, con arconi gotici che dividono gli spazi e un leggero rialzo dell’area presbiteriale dove è situato l’altare maggiore. Nella cappella presbiterale di destra è stato allestito un piccolo museo diocesano dove, tra alcuni preziosi esempi di intaglio (es. Madonna del XIV secolo) e di oreficeria (reliquari e un crocifisso processionale in argento), spicca l’eccezionale complesso pittorico del Retablo di San Giorgio, proveniente dalla non distante chiesa di San Giorgio, e considerato il più grande della Sardegna (660×840 cm). Fu realizzato da un maestro sardo detto il Maestro di Perfugas, alla fine del ‘500.

L’opera, una struttura lignea con cornici interamente bagnate in oro, è composta da 54 tavole in 14 pale separabili, nelle quali viene rappresentato il tema dei misteri del Rosario.
Nei diversi intagli vengono illustrati l’Annunciazione, San Giorgio e il drago, San Gavino a cavallo, la Visitazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al tempio, la Resurrezione, la Pentecoste, l’Ascensione, la Sacra Famiglia con Sant’Anna e l’Incoronazione della Vergine, per concludere con la Crocifissione, dipinta nel colmo del retablo.
Tra le figure vi sono santi e evangelisti.
La nicchia del polittico custodisce due pezzi statuari dello stesso periodo: il Santo cavaliere e la Ritrovata donzella che, nella leggenda, fu liberata dal drago.
Chiesa di Santa Vittoria di Su Sassu

La chiesa di Santa Vittoria di Su Sassu, del 1120, è una chiesa campestre situata nel territorio di Perfugas. La chiesa è realizzata in conci di trachite bruna di diverse gradazioni cromatiche, con rari e isolati inserti bianchi di calcare.
Ha una facciata priva di decorazioni e nella quale si apre il portale d’ingresso con cèntina (curvatura) a sesto acuto. In alto, in posizione centrale, spicca un robusto campanile a vela.
Ugualmente sobrio è l’interno che presenta una sola navata con copertura a capriate lignee, terminante con un’abside semicircolare. L’illuminazione è data da tre monofore, due laterali e una nel catino absidale. La chiesa custodisce un prezioso retablo ligneo del 1723 e una statua seicentesca rappresentante la martire santa Vittoria.


Di notevole importanza appare un’epigrafe, del XV secolo, su un concio lungo il paramento esterno dell’abside, che sembra rappresentare la prima attestazione scritta in lingua còrsa in Sardegna, a testimonianza della presenza dei còrsi nelle regioni storiche dell’Anglona e della Gallura. Il testo dell’epigrafe, «operaiu malu e fora l’erimita», è oggetto di dibattito, anche se la spiegazione più comune è quella che vede un’imprecisata critica all’opera di amministrazione della chiesa e del suo custode (eremitanu in sardo).
Pozzo sacro di Predio Canopoli
Il pozzo sacro di Predio Canopoli è un monumento nuragico situato nel centro storico di Perfugas, antistante la chiesa parrocchiale di Santa Maria degli Angeli.
Risalente al periodo del Bronzo medio, fu scoperto casualmente nel 1923, durante operazioni di ricerca d’acqua. Questo monumento rappresenta uno degli esempi più raffinati di architettura connessa al culto delle acque.

Secondo lo schema consueto al tipo di edificio, si compone di un atrio, una scala discendente e la camera del pozzo.
Il pozzo sacro fa parte di un complesso che comprende i resti di un recinto realizzato con grossi blocchi di trachite (themenos), edificato sulle rovine di un preesistente tempio a mégaron. Nelle immediate vicinanze sono inoltre presenti i resti di alcune capanne, con sovrapposizioni di abitazioni di età romana.
PORTO TORRES
Porto Torres (Porthudòrra in turritano) è oggi il principale porto turistico e commerciale della Sardegna nord-occidentale.
Situata al centro del Golfo dell’Asinara, adagiata su un bianco promontorio calcareo, la città regala piacevoli percorsi sul lungomare e passeggiate tra le vestigia del passato, tra mercatini e botteghe artigiane. Del territorio fa parte anche l’isola dell’Asinara, dal 1997 Parco Nazionale di straordinario valore naturalistico e storico.

Il più antico popolamento di Porto Torres avvenne durante la preistoria, come testimonia la presenza di villaggi, santuari e di numerose grotte funerarie, le domus de janas, scavate nella roccia.
Colonia Iulia Turris Libisonis è l’antico nome della città in epoca romana. L’originario insediamento conserva i resti archeologici e monumentali di una città titolata alla stessa gens (Iulia) dell’imperatore Augusto: grandi terme, lussuose domus impreziosite da mosaici e monumentali opere ingegneristiche come il Ponte romano.

A testimonianza del prestigioso ruolo rivestito dalla città durante il Medioevo, sorge sul colle Monte Agellu la Basilica romanica di San Gavino, un unicum per la monumentalità e per la presenza di due absidi affrontate.
I siti archeologici e monumentali del territorio sono:
- le domus de janas di Su Crucifissu Mannu,
- il Museo archeologico Nazionale Antiquarium Turritano: Il percorso espositivo è su due piani: al piano terra sono esposti materiali provenienti dalle necropoli scoperte in area urbana, una sezione è dedicata alla statuaria e una subacquea. Al piano superiore sono invece esposti i reperti provenienti dalle terme centrali, la sezione dei marmi e inoltre la collezione comunale. Questa comprende reperti che coprono un arco cronologico molto vario, non tutti provenienti dal territorio di Porto Torres.
- l’area archeologica di Turris Libisonis,
- il Ponte romano,
- l’ipogeo via Libio 53,
- la Basilica di San Gavino.
Presso l’ufficio turistico sono acquistabili e attivabili con lo smartphone tour georeferenziati per visitare monumenti e aree archeologiche di Porto Torres.


Nel luogo in cui sorge la chiesa di Santu Bainzu ischabizzaddu (in turritano: san Gavino decapitato) i tre martiri turritani – Gavino, Proto e Gianuario – furono gettati in mare; i loro corpi riemersero nel luogo dove oggi c’è la chiesetta di San Gavino a mare.





Basilica di San Gavino, San Proto e San Gianuario



La basilica di San Gavino, San Proto e San Gianuario, nota semplicemente come basilica di San Gavino, si trova a Porto Torres ed è la chiesa romanica più grande della Sardegna.
È luogo di culto legato alla venerazione delle reliquie dei martiri turritani.
L’inizio dei lavori risale alla prima metà dell’anno 1000 e si deve a maestranze pisane. La basilica è stata costruita nell’area orientale di una necropoli sul monte Agellu, situata tra due cortili su cui si affacciano i due lati lunghi dell’edificio.



Nel fianco meridionale si apre l’ingresso principale, costituito da un pregevole portale gemino del XV secolo in stile gotico-catalano; il grande arco a tutto sesto che sovrasta il portale è retto da colonnine con due capitelli scolpiti con la raffigurazione di due angeli che reggono uno stemma ciascuno. La chiesa è bi-absidata con absidi contrapposte. La copertura del tetto è in lastre di piombo.
L’interno della basilica è un unico ambiente, alto nella navata centrale, divisa dalle più basse tramite due serie di archi a tutto sesto, retti da ventidue colonne. La pianta, a sviluppo longitudinale, è conclusa, su ambo i lati corti, con due absidi contrapposte, illuminate da monofore.


La navata centrale, molto più larga di quelle laterali (con un rapporto di 3:1), è coperta a capriate lignee, che riportano diverse scritte in colore rosso risalenti al XVII secolo. I colonnati, in massima parte composti da materiali di spoglio, inseriscono nella monocromia delle pareti una nota di colore, che varia dal rosa e grigio dei graniti, all’avorio dei marmi. I capitelli sono quasi tutti di epoca romana.
L’abside contrapposta all’altare ospita un catafalco ligneo del XVII secolo con le statue policrome dei santi martiri Gavino, Proto e Gianuario, in posizione giacente.
Nella cripta sono custoditi artistici sarcofagi romani, dentro i quali si conservano le reliquie dei martiri turritani.


STINTINO

Situato nell’estrema punta della Sardegna, a nord – ovest, il Comune di Stintino possiede una delle coste più affascinanti dell’intera Regione, con spiagge dalla sabbia bianchissima, acque cristalline e uno dei mari più belli dell’intero Mediterraneo, come la notissima spiaggia ”La Pelosa”.


La Pelosa ha un fondale limpido e bassissimo per decine di metri, sabbia candida e impalpabile, un mare tranquillo con tutte le tonalità dell’azzurro. Accanto c’è la Pelosetta, chiusa da un isolotto sovrastato da una torre aragonese (del 1578), simbolo della Pelosa. Da una “terrazza”, a duecento metri d’altezza, si gode di un panorama splendido su isola Piana e parco nazionale dell’Asinara.

Il territorio stintinese è un lembo di terra tra due mari. A ovest il “mare di fuori”, con costa alta e frastagliata, ma anche calette di sabbia e ciottoli: da Capo Falcone, sorvegliato da una torre spagnola (la più alta della Nurra) e sorvolato dai falchi, sino a Cala del Vapore. A est il “mare di dentro“, all’interno del golfo: costa bassa e riparata che dalla Pelosa, passando per L’Ancora e gli scogli di Punta Negra, arriva sino ai sassolini bianchi e tondi del lungo litorale de Le Saline ed Ezzi Mannu. In mezzo un’oasi naturale con stagni (Cesaraccio e Pilo), dove vivono airone rosso, garzetta e martin pescatore.


Nel giugno 2016 è stato inaugurato il Museo della Tonnara (MUT) che, con cimeli, testi e immagini, racconta la storia della tonnara di Stintino.
NOTE: la maggior parte delle notizie provengono da wikipedia e dai siti internet delle località citate. Ho scaricato le foto da Google-Immagini