
Le figure retoriche sono forme espressive basate su una deviazione o uno scarto del linguaggio comune. Il loro scopo è rendere il messaggio più espressivo ed efficace, arricchendolo con suggestioni foniche e ritmiche, o invertendo l’ordine delle parole o variandone il significato.
Esse si usano anche nel parlare quotidiano, ma sono specifiche della poesia, che le impiega per modificare il linguaggio comune, combinando le parole in modo strano e operando quello scarto dalla norma che le è proprio.
Le figure retoriche si dividono in tre grandi categorie:
FIGURE DI SUONO: concernono l’aspetto fonico-ritmico delle poesie;
FIGURE DI SINTASSI: riguardano l’ordine dei termini nelle frasi;
FIGURE DI SIGNIFICATO: sono inerenti al significato dei vocaboli e allo spostamento di significato che possono assumere.
Di ogni categoria, affronterò solo le figure retoriche più importanti.

FIGURE RETORICHE DI SUONO
ONOMATOPÈA
È l’imitazione dei suoni naturali. Consistono in
- Locuzioni foneticamente imitative (un gre gre di ranelle; il don … don di campane);
- Termini contenenti fonemi che suggeriscono acusticamente l’oggetto o l’azione che indicano (fruscìo, sciacquìo, rimbombare, miagolare, ecc.)
Nella poesia La mia sera, Pascoli vuole ricordare l’infuriare della tempesta con suoni cupi, di cui la vocale u la fa da padrona:
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
(G. Pascoli, La mia sera)
Aldo Palazzeschi ha voluto, invece, farci sentire il rumore di una fontana, probabilmente otturata, che manda fuori acqua a piccoli spruzzi che somigliano alla tosse di un malato. L’uso dei versi ternari acuisce il senso di tosse.
Clof, clop, cloch,
cloffete
cloppete,
clocchette,
chchch...
È giù,
nel cortile,
la povera
fontana
malata;
che spasimo!
sentirla
tossire.
(A. Palazzeschi, La fontana malata)

ALLITTERAZIONE
È la ripetizione di un suono o di più suoni identici (vocali, consonanti, sillabe) in parole o in versi vicini. L’allitterazione serve per produrre effetti musicali o per evidenziare parole che debbono assumere particolare rilevanza nel contesto.
Nella poesia A Silvia il poeta ripete numerose volte la consonante v che riecheggia il nome di Silvia:
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi
e tu, lieta e pensosa, il limitare di gioventù salivi?
Sonavan le quiete stanze e le vie d’intorno
(G. Leopardi, A Silvia)
Nella poesia Il tuono, di Giovanni Pascoli, l’allitterazione di suoni nasali, suggerisce il senso di cupa angoscia che pervade l’oscurità:
E nella notte nera come il nulla
(G. Pascoli, Il tuono)

PARONOMÀSIA
È la vicinanza di due parole di suono simile o uguale per farne risaltare più efficacemente l’opposizione o la diversità di significato.
… perché fuor negletti
li nostri vóti, e vòti in alcun canto
(Dante, Paradiso, III)
Il primo voti significa voti religiosi; il secondo vuoti, manchevoli.
… s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
(E. Montale, I limoni)
qui il poeta vuole sottolineare il senso di oppressa tristezza: accostando le parole avara-amara, unisce la carenza della luce del giorno alla mancanza di gioia dell’anima.

FIGURE RETORICHE DI SINTASSI
Il poeta sovverte l’ordine sintattico della frase (soggetto + predicato + complementi) per dare risalto a particolari termini o espressioni e creare significati aggiuntivi con ritmo, enfasi, solennità, ecc.
ANÀFORA
È la ripetizione di una o più parole nello stesso verso o in versi consecutivi:
Per me si va nella città dolente,
per me si va ne l’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
(Dante Alighieri, Inferno, III)
Sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte,
sentivo nel cuore un sussulto
(G. Pascoli, L’assiuolo)

ANADIPLÓSI
È la ripetizione della parola finale di un verso all’inizio del verso successivo:
Non lasciavam l’andar perch’ei dicessi,
ma passavam la selva tuttavia,
la selva, dico, di spiriti spessi.
(Dante Alighieri, Inferno, IV)
questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita…
(U. Saba, La capra)
Etim.: Anadiplosi deriva dal greco anadiplōsis = raddoppio

ELLISSI
È l’eliminazione, all’interno di una frase, di alcuni elementi sintattici:
Gèmmea l’aria, il sole così chiaro,
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore
(G. Pascoli, Novembre)
Nel primo verso, manca per due volte il verbo essere: gèmmea è l’aria, il sole è così chiaro.
Quando – come nell’esempio – è il verbo ad essere sottinteso, si parla di STILE NOMINALE.
Un altro esempio di stile nominale:
Questo prato già pieno di fanciulli,
pur nella tramontana al sole vivo,
questa sera, in un’aria inumana
di primavera improvvisa, un mistero …
Così vuoto e presente. Io solo vero.
(S. Penna, Questo prato)
La mancanza dei verbi realizza un rapido vivace bozzetto pieno di vita. La parafrasi potrebbe essere: Questo prato era già pieno di fanciulli che correvano o giocavano in pieno sole, nonostante il vento freddo di tramontana; ora la sera, che è percorsa da un brivido di primavera innaturale, porta con sé la percezione del mistero della vita. Io solo mi sento autentico.

ENUMERAZIONE
È un elenco di parole unite per asindeto (con segni di punteggiatura) o per polisindeto (con congiunzioni).
Enumerazione per asindeto:
… ma costa pena
ritrovarli gli oggetti, una pipa, il cagnuccio
di legno di mia moglie, un necrologio
del fratello di lei, tre o quattro occhiali
di lei ancora!, un tappo di bottiglia […]
(E. Montale, I nascondigli)
L’enumerazione per asindeto è impiegata per suscitare effetti diversi: talvolta conferisce un ritmo rapido nell’accumulazione dei termini; talvolta, invece, crea pause significative, separando concetti e immagini.
Un esempio famoso:
Loreto impagliato e il busto d’Alfieri, di Napoleone,
i fiori in cornice, (le buone cose di pessimo gusto!)
il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,
un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col mònito, salve, ricordo, le noci di cocco,
Venezia ritratta a musaici, gli acquerelli un po’ scialbi,
le stampe, i cofani, gli albi dipinti d’anemoni arcaici…
(G. Gozzano, L’amica di nonna Speranza)
Enumerazione per polisindeto
Benedetto sia ‘l giorno, e ‘l mese, e l’anno,
e la stagione, e ‘l tempo, e l’ora, e ‘l punto,
e ‘l bel paese, e ‘l loco ov’io fui giunto
da due begli occhi che legato m’hanno.
(F. Petrarca, Canzoniere)
In Petrarca, l’effetto di accumulazione è sottolineato dalla congiunzione e che conferisce ai versi un suono dilatato.
Climax
I termini enumerati possono essere disposti in ordine crescente, cioè in una successione che indica un progressivo intensificarsi del concetto (climax ascendente) o, al contrario, nel suo progressivo diminuire (climax discendente). Il climax è molto usato anche nella prosa classica.
- Climax ascendente
La terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto.
(G. Pascoli, Il lampo)
Gli aggettivi, riferiti prima alla terra e poi al cielo, sottolineano il passaggio di entrambi gli elementi a una condizione sempre più disperata.
- Climax discendente
… Don … Don … E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! Sussurrano,
Dormi! Bisbigliano, Dormi!
(G. Pascoli, La mia sera)
I verbi descrivono progressivamente l’effetto rasserenante delle campane, che fa passare l’io da uno stato di veglia a quello di sonno.

INVERSIONE
È il sovvertimento dell’ordine naturale delle parole (soggetto, verbo, complemento oggetto) per ottenere particolari effetti fonici, o per sottolineare alcuni termini che vengono situati in posizioni ritmiche di rilievo: in genere, a inizio o a fine verso.
Si possono avere diversi tipi di inversione:
- Anàstrofe
Consiste nell’anticipazione o nella posticipazione di un elemento della frase rispetto alla struttura sintattica consueta.
Si nota anche nella lingua quotidiana: eccezion fatta, cammin facendo.
La madre or sol, suo dì tardo traendo, = traendo suo dì tardo
parla di me col tuo cenere muto:
ma io deluse a voi le palme tendo; = io tendo le palme deluse a voi
e se da lunge i miei tetti saluto… = se saluto i miei tetti da lunge
(U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni)
Sempre caro mi fu quest’ermo colle = quest’ermo colle mi fu sempre caro
(G. Leopardi, L’infinito)
La bocca sollevò dal fiero pasto
quel peccator = quel peccator sollevò la bocca dal fiero pasto
(D. Alighieri, Inferno, XXXIII)

- Iperbato
È l’alterazione dell’ordine consueto delle parole, con l’inserimento di uno o più termini tra parole che, per la sintassi, andrebbero unite:
… questa
bella d’erbe famiglia e d’animali. = questa bella famiglia d’erbe e d’animali
(U. Foscolo, Dei Sepolcri)
Mille di fior al ciel mandano incensi = mandano al ciel mille incensi di fiori
(U. Foscolo, Dei Sepolcri)
Queste pensavo cose, guidando nell’ascesa = pensavo queste cose, guidando…
(G. Gozzano, Le due strade)

- Chiasmo
È la disposizione incrociata di due espressioni, il cui ordine è invertito nella seconda rispetto alla prima (es. soggetto + verbo / verbo + soggetto; sostantivo + aggettivo/aggettivo + sostantivo, ecc.)
Siena mi fe’ disfecemi Maremma = sogg, + compl. + verbo / verbo + compl. + sogg.
(D. Alighieri, Purgatorio)
Odi greggi belar, muggire armenti = nome + verbo / verbo + nome
(G. Leopardi, Il passero solitario)
Brilla nell’aria, e per li campi esulta = verbo + compl. luogo / compl. luogo + verbo
Il chiasmo può avvenire anche per il significato delle parole:
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori
(L. Ariosto, Orlando Furioso)
Dove si abbinano: donne + amori / cavallieri + arme;
oppure termini inerenti al mondo femminile e maschile = femminile – maschile – maschile – femminile.
Ne Il Cinque Maggio, il chiasmo avviene fra termini inerenti alla vittoria e termini inerenti alla sconfitta:
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio
(A. Manzoni, Il Cinque Maggio)

FIGURE RETORICHE DI SIGNIFICATO
SIMILITUDINE
Consiste nel paragonare o confrontare due immagini, servendosi di nessi logici o di raccordo, quali: come … così; tale … quale; simile a; tale, quanto, come.
E caddi come corpo morto cade.
(D. Alighieri, Inferno, V)
Come d’autunno si levan le foglie
l’una appresso de l’altra, fin che ‘l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d’Adamo
gittansi in quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
(D. Alighieri, Inferno, III)
Come lui, forestiero,
come il vento fuggo lontano.
(Luis Cernuda, Come il vento)
"Come un branco di segugi, dopo aver inseguito invano una lepre tornano mortificati verso il padrone, coi musi bassi e con la coda ciondoloni, così, in quella scompigliata notte tornavano i bravi al palazzotto di don Rodrigo…"
(Manzoni, I promessi sposi, cap. XI)
"Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza…"
(G. Verga, I Malavoglia)

METAFORA
È una similitudine abbreviata, cioè un paragone privo di nessi di raccordo. La metafora associa due termini indicanti cose diverse, ma che hanno qualche aspetto in comune, attribuendo all’una una determinata caratteristica dell’altra.
La nebbia arriva
su zampine di gatto.
S’accuccia e guarda
la città e il porto
sulle silenziose anche
e poi se ne va.
(C. Sandburg, La nebbia)
L’intera lirica è giocata sulla comparazione implicita nebbia-gatto: alla prima vengono attribuite qualità tipiche del gatto, il che crea un suggestivo scambio fra i due termini: l’apparire silenzioso e improvviso; lo sguardo di silenziosa indifferenza per il mondo; il tacito andarsene.
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
(G. Ungaretti, Natale) = Le strade proseguono una nell'altra, come il filo di un gomitolo.
Io non piangea, sì dentro impetrai:
(Dante, Inferno, XXXIII) = Dentro di me diventai come una pietra: e una pietra non piange.
E de’ vostri avi illustri il ceppo vecchio
(Ariosto, Orlando furioso, I) = Ceppo vecchio al posto di capostipite, poiché la genealogia di una famiglia è equiparata a un albero di cui il capostipite è la parte vicina alla base.
La lingua quotidiana è ricca di espressioni metaforiche: quel ragazzo è un fulmine; i pensieri volano; un mare di lacrime; una bellezza sfiorita; le gambe del tavolo.

ANALOGIA
È simile alla metafora, ma più ardita, perché istituisce rapporti di somiglianza associando elementi che non hanno alcun nesso, ma che sono, anzi, sul piano della logica totalmente dissimili. La suggestione dell’analogia nasce proprio dalla sua illogicità.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
(G. Pascoli, Il gelsomino notturno)
= la costellazione delle Pleiadi è chiamata popolarmente “Chioccetta”. Quindi la costellazione risplende nel cielo azzurro (aia azzurra) e il tremolio della sua luce richiama alla mente l’immagine (per analogia con il nome Chioccetta) di una piccola chioccia che si trascina dietro una covata di pulcini, intenti a pigolare.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d'oro della solarità.
(E. Montale, I limoni) = L’immagine dei gialli limoni, che si intravedono da un portone socchiuso, richiamano alla mente, per analogia del colore, le trombe d’oro del sole, cioè i fasci di luce solare che danno gioia e calore.
… si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
(E. Montale, Meriggiare pallido e assorto) = i monticelli, spogli di vegetazione, vengono paragonati a teste calve.

SINESTESIA
È l’associazione di due termini (ad es., un sostantivo e un aggettivo) che appartengono a sfere sensoriali diverse (vista-udito; tatto-gusto; olfatto-vista, ecc.)
Secondo l’ultimo esempio visto sopra:
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
(G. Pascoli, Il gelsomino notturno) = il pigolio di stelle è una sinestesia: la sensazione ottica, data dalla luminosità delle stelle, evoca una sensazione fonica, quale il pigolio dei pulcini.
… all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
(S. Quasimodo, Alle fronde dei salici) = L’aggettivo nero appartiene alla sfera sensoriale della vista, urlo a quella dell’udito.

METONÌMIA
È la sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo un rapporto logico.
Ad es., si sostituisce la parola che indica la causa con un’altra che indica l’effetto, oppure la materia all’oggetto, l’autore all’opera, l’astratto al concreto, il contenitore al contenuto.
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte
(G. Leopardi, A Silvia) = Siamo in presenza di un effetto che sostituisce la causa: le carte, cioè gli studi, che costano fatica, sudore.
Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, mi vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentili anni caduto.
(Foscolo, In morte del fratello Giovanni) = Pietra al posto di tomba fatta di pietra, di marmo.
La metonimia è molto usata nel parlato; con i seguenti scambi:
- Causa/effetto: guadagnarsi da vivere col sudore della fronte = guadagnarsi da vivere con il lavoro (causa) che comporta fatica e quindi sudore (effetto); vivere del proprio lavoro = vivere con ciò che si guadagna lavorando.
- Materia/oggetto: le tele di Picasso = i quadri su tela di Picasso; possedere molti ori = gioielli d’oro;
- Produttore/prodotto: comprare le Timberland = un paio di scarpe di marca Timberland; bere un Chianti = bere un vino prodotto nel Chianti;
- Contenitore/contenuto: bere un bicchiere = bere il contenuto di un bicchiere; finire un piatto = finire di mangiare il cibo contenuto in un piatto;
- Astratto/concreto: confidare nell’amicizia = negli amici; la gioventù mette allegria = i giovani;
- Concreto/astratto: ascoltare il proprio cuore = i propri sentimenti; avere del fegato = del coraggio;
- Luogo/abitanti: Milano è industriosa = gli abitanti di Milano sono industriosi;
- Sede/istituzione: il Quirinale ha dichiarato = il Presidente della Repubblica, che vive al Quirinale, ha dichiarato;
- Autore/opera: domani leggeremo Dante = l’opera di Dante; ascolto Mozart = la musica di Mozart; avere in casa un Carrà = un quadro di Carrà;
- Mezzo/persona: conosco il primo violino della Scala = colui che suona il primo violino.

SINÈDDOCHE
È la sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo un rapporto di maggiore o minore estensione:
E se da lungi i miei tetti saluto (U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni) = Tetti sta per case: la parte per il tutto. Sotto l’ali dormono i nidi, come gli occhi sotto le ciglia (Pascoli, Il gelsomino notturno) = nidi sta per uccellini: il tutto per la parte. Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue. (E. Montale, Ho sceso dandoti il braccio) = Pupille sta per occhi: il particolare per il generale E quando la fatal prora d’Enea per tanto mar la foce tua cercò (G. Carducci, Agli amici della Valle Tiberina) = prora sta per nave: la parte per il tutto. E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni, (Foscolo, Alla sera) = zeffiri per venti: la specie per il genere
La sineddoche si usa anche nel parlato con i seguenti scambi:
- La parte per il tutto: vela per nave, tetto per casa, bocche per persone (avere sette bocche da sfamare);
- Il tutto per la parte: l’uomo prese la sigaretta e l’accese (in realtà è “la mano” che prende e accende la sigaretta);
- Il generale per il particolare: macchina per automobile, lavoratore per operaio, casa per abitazione;
- Il genere per la specie: mortali per uomini, felino per gatto;
- La specie per il genere: pane per cibo; inglese per anglosassone;
- Il singolare per il plurale: l’inglese è compassato (gli inglesi), lo spagnolo è romantico (gli spagnoli).

OSSÌMORO
È l’accoppiamento di termini o espressioni di senso del tutto opposto, antitetici, che ottengono in questo modo un particolare risalto
Bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto
(G. Pascoli, Il lampo) = il tumulto (rumore forte) non può essere tacito (silenzioso); ma si potrebbe dire che il lampo avviene dopo il silenzio angosciato di chi se lo aspetta, col suo seguito di rumore di tuono.
Il vento che tarda, la morte, la morte che vive!
(Montale, Notizie dall’Amiata) = la morte non può vivere; qui morte potrebbe significare angoscia, paura; o il verbo vive potrebbe sostituire viene, esiste, verrà.
L’animo mio, per disdegnoso gusto,
credendo col morir fuggir disdegno,
ingiusto fece me contra me giusto.
(Dante, Inferno, XIII) = il disdegnoso gusto può essere inteso come amaro piacere.

IPERBOLE
È una affermazione esagerata che, per esprimere un concetto, usa termini eccessivi:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino
(E. Montale, Ho sceso dandoti il braccio) = un milione di scale sta per tante scale.
E in quell'eterna estate, tra quei fiori,
intrisa di argento azzurrino,
come leggiadra sei
(V. Solov’ev, Dolce amica non credo) = eterna sta per lunga.
Spesso l’iperbole ha un carattere comico, che evidenzia la sproporzione tra parole e realtà (come le avventure fantasiose di personaggi millantatori, cfr. il Morgante del Pulci); o il distacco ironico con cui lo scrittore descrive imprese inverosimili; si pensi alla pazzia di Orlando:
Quivi fe’ ben de le sue prove eccelse;
ch’un alto pino al primo crollo svelse:
e svelse dopo il primo altri parecchi,
come fosser finocchi, ebuli o aneti.
(Ariosto, Orlando furioso, XXIII) = in questo caso l’iperbole riguarda interi versi.

LITÒTE
È l’affermazione di un concetto attraverso la negazione del suo contrario.
Molte volte Novembre è ritornato
nella mia vita, e questo che oggi ha inizio
non è il peggiore …
(M. Guidacci, Molte volte novembre)
Don Abbondio non era nato con un cuor di leone
(Manzoni, I promessi sposi, cap. I)
I cavallier, di giostra ambi maestri,
che le lance avean grosse come travi,
tai qual fur nei lor ceppi silvestri,
si dieron colpi non troppo soavi.
(Ariosto, Orlando furioso, XXXI)
