
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.
Una delle più belle poesie d’amore di Eugenio Montale. Che poi non è solo una poesia d’amore: è di tenerezza, compagnia, complicità, sincronia di gesti e di parole, parte di sé; e poi strappo, lacerazione, zoppia.
È compresa nella raccolta Xenia (in Satura), dove sono le poesie scritte dopo la morte della moglie (detta “Mosca” per le spesse lenti dei suoi occhiali) e a lei dedicate: lì vi sono narrati, in versi, piccoli e grandi gesti quotidiani, nomignoli, abitudini.
Qui è narrato lo scendere le scale. E scendere le scale al braccio della “Mosca”, diventa emblema di tutto il breve lungo viaggio della vita, sebbene gli occhi tanto offuscati di lei. Il darle il braccio, perché non inciampasse, si rivela un’azione reciproca in cui non si sa chi guida e chi è guidato.
È anche un gesto metaforico: con la Mosca lo scendere era il moto più naturale, perché, dai piani alti della poesia, si scendeva sempre verso la concretezza e l’ironia, la domesticità.
Bibliografia:
EUGENIO MONTALE, Satura, Mondadori 1971
Poesia italiana del Novecento, a cura di ELIO GIOANOLA, Marietti 1989
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