
Un’opera straordinaria di Caravaggio. Si trova a Milano, alla Pinacoteca Ambrosiana. Se non l’avete mai vista dal vero, vi manca un pezzetto d’anima.
Straordinaria perché? Non certo per l’esattezza estrema con cui i frutti sono copiati e dipinti . C’è qualcosa d’altro, molto altro.
Fu il cardinale Borromeo (quello dei Promessi sposi) colui che la comprò e la destinò alle sue collezioni. Fu lui a chiamare la canestra “fiscella”, termine poi usato frequentemente come sinonimo della Canestra di Caravaggio.

Il soggetto: un insieme di frutti diversi con le loro foglie. Ci sono una mela, una pera, uva bianca e nera, fichi chiari e scuri, una pesca, un limone; tutti disposti con cura in una canestra di vimini intrecciati, poggiata su un piano di legno e con una parete di fondo luminosa e senza ombre. Una banalità.
Quanti ne abbiamo visti di cesti con frutti e di vasi con fiori! La storia della pittura ne è stracolma. Ma come questo, non ne abbiamo visto mai. Vediamo perché.
Qui non c’è ambientazione, non c’é tavolo, né davanzale o credenza. Qui manca la contestualizzazione. Non c’è fondo, non c’è spazio. Il piano di appoggio è una semplice striscia di legno priva di profondità.
E allora perché la canestra sporge da quello che sembra un ripiano? E in questo suo sporgersi, crea un’ombra sotto, che dà un senso di spazio intorno?



In più, la fiscella si staglia contro quel fondo anonimo, giallo-ocra, che la mette in evidenza e, contemporaneamente, la isola da ogni contesto. Quel giallo non è altro che la riproposta caravaggesca dell’oro dei quadri medievali, è l’oro divino, che santificava personaggi e situazioni. Che rendeva lo spazio fuori tempo o lo proiettava nel tempo infinito di Dio.
Prova ne sia il fatto che il fondo è stato steso per ultimo (si vedono chiaramente le pennellate sinuose, dalle diverse tonalità), seguendo i contorni, come facevano gli antichi, applicando la foglia d’oro.
E c’è una luce che viene dall’alto a sinistra e che esalta il volume di ogni frutto, di ogni foglia. Caravaggio si concentra sulle bacature della mela e della pera, sulle spaccature dei fichi e l’incartocciarsi delle foglie. È il tempo che passa e tutto corrompe e guasta.


Questa è una novità. Nella pittura classica la natura era rappresentata nella sua bellezza incontaminata dal tempo. Qui no. Qui la natura – frutti e foglie – è vista nella sua imperfezione e corruzione.
E c’è un aspetto ulteriore: qui Caravaggio ha trattato un oggetto come fosse una persona, un evento, un quadro sacro. Forse anche per questo il cardinale Borromeo ne cercò invano un pendant. Gli proponevano altri quadri di nature morte, che erano morte, appunto. Mentre questo ha un’anima viva. Viva e incorrotta.
Bibliografia:
Maurizio Calvesi, Caravaggio, Giunti 1986
Rossella Vodret, Caravaggio, l’opera completa, Silvana ed. 2009
Corrado Mauri, La canestra di frutta del Caravaggio, scuoladomuspicturae.it